Approfondimenti

Il Manager Esterno come Chiave per il Successo delle Aziende Familiari

Takeaway come “membro esterno alla famiglia”

By Luca Negri, dal 2017 Direttore Generale di gruppi industriali internazionali di stampo famigliare e Claudia Paoletti, Managing Partner di Kilpatrick Executive Search

 

Il tessuto sociale italiano pullula di PMI di stampo padronale, molto spesso gioielli leader nel loro settore di mercato.

Normalmente il fondatore è stato il primo lavoratore, il primo ad arrivare in azienda al mattino e l’ultimo ad andarsene la sera. I suoi figli sono entrati molto presto in azienda supportando la crescita dell’azienda, ma senza avere, nella maggior parte dei casi studi manageriali alle spalle e, di conseguenza, senza essere in grado di apportare organizzazione e nuova visione ma continuando nell’approccio del genitore.

Negli ultimi anni il mercato si è complicato e digitalizzato e, per poter concorrere in un mondo sempre più globalizzato e con le multinazionali, è stato necessario introdurre una nuova cultura e nuove competenze per poter sopravvivere e crescere. Ecco quindi che le nuove generazioni delle famiglie imprenditoriali italiane si sono adeguate alle necessità delle proprie realtà aziendali frequentando le università e facendo esperienze in società esterne al proprio business e all’estero.

Se la cultura manageriale in azienda prima era necessaria per competere ed efficientare le performance, ora diventa indispensabile per rimanere sul mercato ed innovare. L’approccio manageriale riveste dunque un ruolo cruciale nelle PMI, in quanto può influenzare significativamente il successo dell’impresa.

La sfida della managerializzazione è quindi molto attuale e richiede l’inserimento in azienda di candidature adeguate in grado di apportare organizzazione, processi, metodo, controlli, strategie ma soprattutto cultura.

Il percorso del Manager è volto a combinare il rigore proprio del ruolo di manager alla creatività ed alla visione ed anche alla capacità di rischiare che sono proprie della figura dell’imprenditore.

 

Abbiamo chiesto a Luca Negri di raccontare il suo punto di vista di Manager cresciuto in un ambiente multinazionale strutturato ma che, negli ultimi anni, si è specializzato nell’accompagnare imprenditori nel loro progetto di crescita aziendale.

 

Luca, quale è, secondo te, il valore aggiunto che un manager esterno, ad esempio proveniente da un contesto multinazionale, può apportare in una azienda familiare?

In Italia abbiamo un tessuto industriale costituito da aziende eccellenti da un punto di vista del prodotto-processo, spesso tra i leader mondiali nel proprio settore. Un manager esterno può contribuire ad incrementare il valore di realtà di questo tipo grazie alla capacità di visione d’insieme e di tipo internazionale, di attenzione ai processi ed al controllo di gestione, di sviluppo delle persone e dell’organizzazione. Quando si subentra in questi contesti è cruciale identificare rapidamente i driver fondamentali di valore e condividere con azionisti e management una “road map” che porti ad un rapido miglioramento della performance e che costituisca l’ossatura del nuovo piano industriale. Spesso la cosa più importante è decidere rapidamente le cose da non fare per focalizzare l’organizzazione su poche priorità da valutare e condividere in modo analitico ma rapido. In seconda battura sarà possibile “raddrizzare il tiro” in funzione del mutevole contesto di mercato.

 

Puoi farci un esempio di azioni che migliorano la performance di breve e sono coerenti con piani di sviluppo di medio-lungo termine?

Un esempio tipico è la gestione del circolante, spesso cruciale per le aziende industriali italiane che fanno ricorso al sistema bancario come principale fonte di finanziamento. Per ottenere rapidi impatti sul circolante è necessario attivare e coordinare tra di loro gruppi di lavoro che puntano a ridurre la complessità (revisione gamma prodotti e mercati, razionalizzazione processi produttivi e semilavorati, design to manufacture etc.), a semplificare e standardizzare processi organizzativi e flussi di lavoro, rimuovere i “silos” ed attivare gruppi di lavoro inter-funzionali. Attraverso queste attività l’organizzazione “impara” a lavorare in modo diverso ed arriva a definire piani industriali più efficaci dal punto di vista delle priorità degli investimenti da attuare. In sintesi un “circolo virtuoso” che genera cassa, che trasforma e re ingegnerizza il modello di business e che evidenzia in modo più efficace le priorità di intervento e di investimento.

 

Quali sono le modalità con cui un manager può integrarsi con successo in un contesto imprenditoriale ed attivare percorsi di trasformazione come quello descritto?

Credo che umiltà e determinazione siano le chiavi di volta in qualsiasi realtà, ancor più in contesti imprenditoriali. Umiltà implica saper ascoltare, aver voglia di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo, mettersi in gioco e rispettare tutti e tutte le scelte pregresse. Capire ad esempio le radici delle relazioni di lungo periodo con clienti, fornitori, collaboratori è fondamentale per intercettare i driver di valore dell’azienda. Una volta capito il contesto e condiviso priorità, piani di sviluppo e di miglioramento diventa fondamentale la determinazione nel monitorare lo stato di avanzamento dei progetti dando il necessario supporto là dove sussistono gap ed evidentemente prendere decisioni anche radicali quando vi sono evidenze per farlo.

In definitiva solo alimentando in modo equilibrato logica, autenticità ed empatia si costruisce e si mantiene la fiducia con gli azionisti e con tutte le persone in azienda.

 

Ma qual è il punto di vista dell’headhunter sul tema? Lo abbiamo chiesto alla nostra Managing Parner Claudia Paoletti:

Normalmente noi headhunter siamo chiamati ad inserire candidati che apportino il processo imparato in aziende scuola ma con modalità adeguata al contesto. Entrare a gamba tesa ed in maniera aggressiva in una realtà padronale difficilmente paga ma è necessario comunque tener testa all’imprenditore se si vogliono cambiare le cose e lasciare la propria impronta. La disciplina è necessaria ma bisogna anche rispettare la storia dell’azienda e non imporre una velocità che non è quella in grado di tenere la realtà. Ecco quindi la necessità di individuare candidati con una buona leadership e capacità comunicative, dotati di buona visione strategica, innovativi e digitali ma anche molto operativi e adattabili.

Ritengo che il valore aggiunto maggiore di inserire un Manager che non sia membro della famiglia in azienda sia la possibilità di avere un reale confronto con l’esterno e con l’esperienza pregressa dello stesso manager in contesti multinazionali strutturati e, soprattutto, la condivisione di responsabilità.

Sottolineo inoltre come sia confermato  (vedi Osservatorio Aidaf, UniCredit, Bocconi) che le aziende che si aprono ai Manager esterni abbiano una performance migliore.

Infatti le aziende familiari che crescono maggiormente sono proprio quelle che abbandonano il modello dell’amministratore unico e aprono la governance a dei consiglieri esterni indipendenti e non familiari. La contaminazione aiuta l’innovazione ed i Consigli di Amministrazione eterogenei permettono approcci diversi ed un maggiore dialogo. Il risultato è una maggiore efficacia decisionale dell’organizzazione e più redditività per le imprese che decidono di percorrere la strada della managerializzazione.