Il conto alla rovescia è già iniziato. Nel 2026 entrerà in vigore la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), la direttiva europea che rivoluzionerà il modo in cui le aziende rendicontano il proprio impatto. Per molte imprese italiane con più di 250 dipendenti non sarà più sufficiente pubblicare report qualitativi o iniziative di responsabilità sociale scollegate dal business. Sarà necessario dimostrare con dati misurabili e certificati come la sostenibilità sia realmente integrata nelle strategie aziendali.
Di fronte a questa sfida, cresce la richiesta di nuove figure manageriali: ESG Officer, Sustainability Lead o Chief Sustainability Officer (CSO). Professionisti chiamati a guidare un cambiamento che non è solo normativo, ma soprattutto culturale e strategico.
Ma chi è davvero un ESG Officer? Quali competenze deve avere? E come possono le aziende italiane, in un mercato del lavoro ancora giovane in questo campo, riuscire a identificarlo e attrarlo?
CSRD: un cambio di paradigma per le aziende italiane
La CSRD non è un semplice “aggiornamento” delle normative precedenti, come la Non-Financial Reporting Directive (NFRD). È un salto di scala: introduce standard europei uniformi (ESRS), con oltre 80 indicatori obbligatori e centinaia di requisiti aggiuntivi per i settori più esposti.
Per un’azienda italiana con più di 250 dipendenti questo significa:
- Obbligo di disclosure dettagliata su aspetti ambientali (emissioni, uso di risorse naturali), sociali (diversità, parità di genere, condizioni di lavoro) e di governance (etica, lotta alla corruzione, trasparenza).
- Coinvolgimento della catena del valore: non basta guardare all’interno, occorre raccogliere dati anche da fornitori e partner.
- Verifica esterna obbligatoria: i report dovranno essere certificati da revisori indipendenti, con la stessa solidità di un bilancio finanziario.
È chiaro quindi che la CSRD non è un progetto di “compliance da ufficio legale”, ma una trasformazione che tocca l’intera organizzazione.
ESG: molto più che ambiente
La sigla ESG – Environment, Social, Governance – viene spesso associata solo alle tematiche ambientali. In realtà, l’ampiezza del concetto richiede un approccio olistico:
- Environment: riduzione delle emissioni, transizione energetica, gestione dei rifiuti, uso efficiente delle risorse.
- Social: benessere dei dipendenti, inclusione e diversità, formazione continua, sicurezza sul lavoro, impatto sulle comunità.
- Governance: trasparenza dei processi, etica aziendale, sistemi di controllo e risk management, relazioni con gli stakeholder.
Un Sustainability Lead non è quindi un tecnico specializzato in carbon footprint, ma un leader capace di tradurre questi tre pilastri in strategia, cultura e comunicazione, facendo sì che la sostenibilità diventi parte integrante del modello di business.
Le difficoltà nella selezione: un mercato giovane e complesso
Individuare un ESG Officer non è semplice, per diverse ragioni:
- Professionisti rari: il mercato italiano non ha ancora una lunga tradizione di figure dedicate esclusivamente alla sostenibilità. Molti dei profili oggi attivi provengono da settori affini (consulenza strategica, risk management, compliance).
- Competenze trasversali: servono conoscenze tecniche sulle normative europee, ma anche capacità di project management, comunicazione con gli stakeholder, visione strategica e leadership.
- Autorevolezza: un ESG Officer deve avere il giusto livello di seniority per dialogare con il board e influenzare le scelte di governance, non essere relegato a ruolo “operativo” o di facciata.
- Attrattività del ruolo: i professionisti ESG più qualificati sono già corteggiati da aziende internazionali, perciò la capacità di attrarre questi leader dipende anche dalla Employee Value Proposition (EVP) che l’impresa è in grado di offrire.
Il profilo ideale: competenze e soft skills
Non esiste un unico percorso di carriera per diventare Sustainability Lead, ma alcuni tratti sono comuni nei profili più efficaci:
- Background ibrido: esperienze in aree legali, finanziarie o di risk management, integrate con competenze ambientali o di CSR. Spesso i candidati migliori hanno lavorato in società di consulenza o in multinazionali con forti progetti ESG.
- Competenze strategiche: capacità di leggere il contesto macroeconomico e normativo, anticipare trend e tradurli in strategie di medio-lungo periodo.
- Soft skills: pensiero sistemico, visione internazionale, empatia, capacità di influenzare e guidare team interfunzionali.
- Comunicazione e stakeholder management: abilità nel dialogo con investitori, autorità di vigilanza, dipendenti e comunità locali.
- Orientamento all’impatto: capacità di trasformare KPI e dati di reporting in un racconto coerente che rafforzi la reputazione aziendale e generi valore reale.
EVP e leadership ESG: cosa chiedono i professionisti
Un aspetto spesso sottovalutato è che gli ESG leader stessi sono molto attenti ai valori delle aziende. Per attrarli non basta una job description ben scritta: servono segnali concreti di impegno.
Una EVP ESG-ready deve includere:
- Governance chiara, con supporto esplicito da parte del board.
- Investimenti reali in sistemi di misurazione e rendicontazione, non solo dichiarazioni.
- Opportunità di sviluppo internazionale, dato che la sostenibilità è un tema globale.
- Cultura aziendale che valorizzi inclusione, responsabilità e trasparenza.
Il ruolo di Kilpatrick Executive nella selezione di leadership ESG
In un mercato così competitivo e in rapida evoluzione, le aziende non possono permettersi errori nella scelta di un ESG Officer. Il ruolo delle società di executive search diventa quindi fondamentale.
Kilpatrick Executive supporta le imprese in tre direzioni chiave:
- Definizione del ruolo: aiutiamo le aziende a chiarire quale livello di seniority e quali competenze sono realmente necessarie per affrontare la sfida della CSRD.
- Mappatura internazionale dei talenti: grazie a una rete globale, individuiamo candidati non solo in Italia ma anche all’estero, dove il mercato ESG è più maturo.
- Valutazione del cultural fit: analizziamo non solo competenze e track record, ma anche valori, motivazioni e allineamento culturale, riducendo il rischio di turnover precoce.
Il nostro obiettivo è garantire che il nuovo Sustainability Lead sia percepito come un leader strategico e integrato, non come un “simbolo” o un obbligo normativo.
Conclusione: il futuro si gioca sulla sostenibilità
La CSRD non è un traguardo, ma un punto di partenza. Le aziende che sapranno affrontarla con coraggio non solo risponderanno a un obbligo normativo, ma rafforzeranno la propria competitività, attrarranno talenti e miglioreranno la propria reputazione sul mercato.
Il Sustainability Lead del futuro è un ponte tra numeri e valori, tra normativa e cultura, tra compliance e strategia. Un architetto del cambiamento che guiderà le aziende italiane verso un futuro in cui sostenibilità e business non saranno più due mondi separati, ma la stessa strada da percorrere insieme.