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La seconda ondata di transizioni executive in Italia: comprendere il fenomeno e trasformarlo in opportunità strategica

Esecutivi C‑level durante un periodo di transizione strategica in azienda, simbolo della “seconda ondata” di turnover in Italia – Kilpatrick

Negli ultimi anni, il mercato del lavoro italiano ha vissuto un’accelerazione senza precedenti. Dopo l’onda d’urto della pandemia, tra il 2021 e il 2023 molte aziende hanno rinnovato i propri vertici, scegliendo leader capaci di guidare la ripartenza, la trasformazione digitale e la costruzione di modelli organizzativi più resilienti.

Oggi, tuttavia, a distanza di appena due o tre anni da quelle nomine, si parla sempre più spesso di una “seconda ondata di transizioni” che riguarda figure C-level: CEO, CFO, CHRO, CTO e altri profili apicali stanno lasciando i loro incarichi prima del previsto. Un segnale che non può essere interpretato come un semplice turnover, ma come il sintomo di un fenomeno più complesso che sta ridisegnando le regole della leadership.

Un dato inedito: la durata dei mandati si accorcia

Storicamente, in Italia la durata media di un incarico da amministratore delegato o da top executive oscillava fra i 5 e i 7 anni. Oggi, diverse analisi segnalano un calo sensibile: i mandati executive si stanno assestando attorno ai 3-4 anni (fonte: ObiettivoCinque), con punte ancora più brevi per i leader inseriti nel periodo immediatamente successivo al COVID.

A ciò si aggiunge un elemento strutturale: i CEO italiani restano tra i più anziani d’Europa, con un’età media di oltre 61 anni, e solo il 13% viene nominato prima dei 45 anni (ObiettivoCinque). Un dato che racconta di un mercato non particolarmente dinamico sul fronte generazionale, ma che al tempo stesso accentua la mobilità di chi, arrivato in età matura, cerca esperienze professionali più in linea con i propri valori e le proprie priorità personali.

Le vere ragioni dietro la “seconda ondata”

Le motivazioni che spingono i leader a lasciare non si riducono a opportunità economiche o di carriera. La pandemia ha agito come un catalizzatore, portando molti a rivedere le proprie priorità. Oggi i driver principali sono altri:

  • Valori e purpose: i manager cercano aziende con una missione chiara, autentica, coerente con i propri principi personali. Il “perché” è diventato tanto importante quanto il “cosa”.
  • Benessere e sostenibilità: la pressione degli anni di emergenza ha lasciato cicatrici. Molti executive non sono più disposti a sacrificare salute e vita privata per modelli organizzativi insostenibili.
  • Governance e cultura: conflitti con il board, incoerenze decisionali o culture aziendali rigide spingono i leader a guardarsi intorno. Un contesto governato male può diventare rapidamente una ragione di dimissioni.
  • Evoluzione delle competenze richieste: digitalizzazione, intelligenza artificiale e nuove logiche di sostenibilità ESG hanno cambiato la fisionomia del ruolo. Alcuni executive scelgono ambienti che consentano di esprimere al meglio le proprie skill, senza sentirsi “ingabbiati” in strutture poco pronte al cambiamento.

Onboarding e integrazione: il punto debole delle aziende

Molte dimissioni precoci hanno radici negli errori commessi nella fase più delicata: l’onboarding. In troppi casi l’arrivo di un nuovo leader viene gestito come un atto puramente formale, senza costruire un vero percorso di integrazione.

Gli errori più comuni includono:

  • Percorsi di inserimento troppo rapidi o superficiali, che non consentono all’executive di entrare in sintonia con i valori aziendali.
  • Mancanza di sponsorship interna, con i top manager lasciati soli di fronte a resistenze culturali o organizzative.
  • Promesse non mantenute, con ruoli e obiettivi presentati in modo diverso rispetto a quanto realmente vissuto una volta in azienda.

Questi elementi creano fratture difficili da ricucire: un executive che non percepisce coerenza e supporto nei primi 100 giorni inizia già a valutare nuove opportunità.

La sfida dell’EVP: costruire valore per attrarre e trattenere leader

Per competere in questo scenario, le aziende devono andare oltre le leve tradizionali come retribuzione e bonus. Ciò che conta oggi è la Employee Value Proposition (EVP): un insieme di valori, benefit tangibili e intangibili, che racconti perché un leader dovrebbe scegliere di restare.

Un’EVP efficace per i C-level deve includere:

  • Flessibilità e well-being: modelli di lavoro realmente sostenibili, con attenzione a work-life balance, salute e supporto psicologico.
  • Sviluppo e impatto: opportunità di crescita, non solo verticale, ma anche di apprendimento continuo e di partecipazione a progetti trasformativi.
  • Autenticità: trasparenza e coerenza da parte del board e degli azionisti, per evitare il rischio di disallineamento.
  • Visione condivisa: la possibilità di contribuire a un progetto aziendale che generi valore per persone, comunità e mercato.

Il ruolo dell’executive search: oltre la selezione, la garanzia dell’allineamento

In questo contesto, le società di executive search non sono semplici fornitori di profili. Il loro compito è diventare partner strategici, capaci di validare non solo le competenze tecniche, ma soprattutto la compatibilità culturale e strategica fra il manager e l’azienda.

Un processo di executive search realmente efficace prevede:

  • Un’analisi approfondita del contesto e della cultura organizzativa del cliente.
  • La valutazione non solo delle skill e del track record, ma anche delle motivazioni e dei valori personali del candidato.
  • Un lavoro di mediazione fra esigenze aziendali e aspettative individuali, con l’obiettivo di ridurre al minimo il rischio di turnover precoce.

Solo in questo modo è possibile trasformare una nomina in una storia di successo a lungo termine.

Conclusione: dalla minaccia all’opportunità

La “seconda ondata di transizioni” non deve essere letta come un pericolo, bensì come un’opportunità. È un’occasione per le aziende di ripensare le proprie strategie di leadership, rafforzare l’onboarding, costruire EVP più solide e valorizzare la cultura aziendale.

Chi saprà farlo non solo tratterrà i migliori talenti, ma si distinguerà come employer di riferimento per i leader del futuro.

Perché guidare il domani significa scegliere oggi i leader giusti e costruire con loro un percorso di crescita condiviso.